L’Apostrofo
Daniela De Lorenzo
La Nuova Pesa Roma
12/12/2022 - al 10/02/2023
con un testo di Saretto Cincinelli



L'apostrofo e il dissonante 2023



Tout se tien
di Saretto Cincinelli

Dalla scultura alla fotografia, dal video al ricamo: nella multiforme ricerca di Daniela De Lorenzo, tout se tient, tutto tende insomma a duplicarsi e complicarsi per tornare a vivere più di una volta. È quanto indicano, se ancora ce ne fosse bisogno, L’apostrofo e il dissonante e Quasi me, sculture che -realizzate tra il 2020 e il 2021- paiono esplicitamente richiamarsi a Distrazione, serie di rarefatti ‘autoritratti’ fotografici, risalente al 2000, per offrirne un’esemplare materializzazione plastica. La figurazione fantasmatica e limbale che caratterizzava quelle foto è restituita nelle attuali sculture dalla stratificazione di fogli di carta cotone che, assemblati uno sull’altro, giungono a reinventare l’immagine di partenza, trasformandola in una figura a tutto tondo. Una figura che nella sua mutevole e cangiante volumetria, richiama quel profilo in continuo divenire che emergeva dallo ‘sfocato’ fotografico.



L'apostrofo 2023, Veduta della mostra



In entrambi i casi De Lorenzo ci pone di fronte a un annuncio/vestigio di figura, a un mostrare celando: un movimento duplice e apparentemente contraddittorio, teso a sospingere indietro la figurazione per condurre in primo piano la materialità del suo processo generativo. Ciò che l’artista vuole farci esperire è, dunque, una percezione in divenire che trae linfa da un’immagine incoativa, sospesa nel suo stesso farsi. Un’immagine in cui non tutto risulta a fuoco, in cui istante e durata non sembrano integrarsi ma vivere di una pulsazione gravida di polarità cangianti e interconnesse, che paiono fondersi senza confondersi.



L'apostrofo 2023, Veduta parziale della mostra



L’oscillazione fra scultura e fotografia è una componente che da molti anni informa la ricerca postmediale dell’artista, al punto che i due poli vivono ormai di un inaggirabile gioco di reciproci rimandi. In questa mostra, infatti, diversamente da quanto accadeva nelle prime prove, (1) non è la foto a cercar di decostruire l’è stato della scultura per ricondurre quest’ultima sino al suo non-ancora ma, all’opposto, l’inusuale modellato scultoreo dell’artista che, ribaltando la precedente prospettiva, mira, paradossalmente, a dare un corpo all’evanescente movimento immobile di Distrazione: ciò che lì sembrava mostrarsi ritraendosi qui pare farsi dis-facendosi. Ne consegue che oggi sembra essere la scultura a concedere una rinnovata chance d’esistenza alla fotografia. Nel mostrare celando che caratterizza la poetica dell’artista, il processo non si oppone mai al risultato, né l’astratto al figurativo. È quanto indica, anche la serie delle oculografie che pone al proprio centro i continui inavvertiti movimenti che l’occhio compie nell’esercizio della messa a fuoco. Realizzati in forma di ricamo o di intarsio i tracciati grafici inscritti in queste opere rendono visibile l’andirivieni dei percorsi dello sguardo nella percezione, tramite una soluzione che non appare molto diversa da ciò che potremmo cogliere se osservassimo il rovescio di un ricamo. Ancora una volta, dunque, sia pur con altri mezzi, l’opera sembra precorrere la visione anticipando il suo stesso delinearsi.



Quasi me 2021



Il celare mostrando, inteso non solo in senso metaforico, è alla base anche di Dormiveglia, ciclo fotografico che, nella propria genesi, sembra adombrare la pratica del fotomontaggio. È però sufficiente rivolgere la dovuta attenzione alle singole foto per rendersi conto che in esse non è celato alcun intervento in fase di post-produzione. Nonostante le apparenze, quello che queste immagini ci mostrano, è infatti un prelievo spazio-temporale colto letteralmente dal vivo. Se in esse c’è intarsio e innesto di spazialità o temporalità divergenti ciò non è dovuto al fotomontaggio (pratica che si realizza sempre après coup) ma ad una performance messa in atto dall’artista in funzione dell’autoscatto. Un’azione minima analoga a quella all’origine di Distrazione: se lì si trattava di volgere velocemente la testa davanti a una camera con un tempo di esposizione lungo, qui si tratta di assumere una postura corporea che permetta di tenere in equilibrio, senza l’ausilio della mano, una sorta di maschera che non simula un volto ma si limita ad occultarlo, creando comunque un effetto perturbante. In entrambi i casi l’azione performativa per quanto minima risulta amplificata dallo scatto fotografico e dalla sua reiterazione: il volto scon-volto che nelle varie stazioni di Distrazione emerge come una scia indistinta ma capace di trattenere segni di viseità, sembra anticipare la funzione di quella sorta di schermo/maschera che in Dormiveglia conquisterà il centro della scena.



Equivalenti 2016



Dopo un’attenta lettura l’inquietante oggetto che scherma il volto dell’artista, e che a tratti sembra uno specchio che riflette qualcosa di esteriore, si rivela il particolare della foto di un precedente autoritratto che, in una sorta di mise en abyme celava, a sua volta, il volto dell’artista. Pur mantenendo l’integrità, senza smagliature, della stampa fotografica Dormiveglia, intercala comunque ritardi e spaziature nel corpo unico di un risultato che finisce per costituirsi come matrice fluida in seno alla quale due o più presenze incompossibili sono affermate simultaneamente.



Dormiveglia #1



Teatro di un evento minimo le foto di De Lorenzo utilizzano le implicite potenzialità del medium per mantenere l’immagine in magistrale equilibrio tra sospensione del senso e potere evocativo. È per questo che, a dispetto della loro genesi, gli scatti di Dormiveglia non si lasciano riassorbire nell’ambito di una visibilità corrente ma si offrono come apparizioni che paiono mettere in crisi la visibilità stessa nei suoi caratteri di evidenza e certezza.



Nota
1 - Risultato di una sovrapposizione di negativi tratti dalle sue stesse sculture in feltro, le prime stampe fotografiche di De Lorenzo scaturiscono infatti da una duplicazione interna all’immagine, che non restituisce il soggetto ma lo complica, decostruendolo. Prodotte da una spaziatura originaria, prive di un’unica matrice, non si offrono come semplici ritratti di una scultura ma, potremmo dire, del suo ri-trarsi; attraverso una simmetrica ed enigmatica moltiplicazione delle pieghe costitutive del loro soggetto, infatti, non rappresentano ma rendono presente il rivolgersi della scultura verso il suo non-ancora.