Dastellbarkeit:
il sintomo “artistico” o la gestualizzazione del fantasma.
[Verso “un’ortografia dell’espressione delle passioni”
nell’opera di Daniela De Lorenzo]
testo di Fernando Castro Flórez
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“Può darsi che non vi sia dominazione, linguaggio, pensiero, desiderio o intenzione se non dove c’è quel movimento per pensare ancora, per desiderare, nominare ciò che non si fa né conoscere, né sentire, né vivere -nel senso in cui la presenza, l’esistenza, la determinazione regolano l’economia del sapere, dell’esperienza e del vivere-. In questo senso, non si può pensare, desiderare e dire altro se non l’impossibile, nella misura senza misura di tale limite: non si può desiderare, nominare, pensare nel vero senso – se esiste – di queste parole se non nella smisurata misura in cui si desidera ancora o non si desidera più, si nomina o si pensa, nella misura in cui si può ancora annunciare ciò che, tuttavia, non si può presentare come tale all’esperienza, alla conoscenza: in poche parole, qui, un dono che non può farsi presente” .(1)

“Deluso, a cielo aperto, l’universo contemporaneo si divide tra il fastidio (sempre più angosciato dalla perdita delle sue risorse di consumo) o l’abiezione e il riso stridente (quando sopravvive la scintilla del simbolo e fulmina il desiderio di parola” .(2) Predomina, tuttavia, una sorta di “metafisica dell’assenza” (3) : la realtà che consisterebbe nell’occulto che sfugge. L’infinitudine comprende tutto: il desiderio, il discorso, il dialogo e persino il sublime. E tuttavia, ciò che realmente ci seduce non è altro che la piattezza; ebbene sì, siamo narcotizzati dall’abisso della banalità. (4) Per fortuna ci sono ancora degli artisti, come Daniela De Lorenzo, che sono capaci di creare delle opere pervase di mistero o, meglio ancora, di dare libero sfogo alle apparizioni (5) : le sue fotografie, i suoi video e le sue sculture sono, in parte, dei sogni in cui l’identità si insinua nella metamorfosi delle differenze, costringendoci a prendere in considerazione la dimensione isterica dell’individuo. Come ben sappiamo, i sogni non sono necessariamente legati in un modo sempre piacevole, piuttosto al contrario, in essi palpita l’inspiegabile, formano l’ambito di sedimentazione di un’inquietudine singolare, un qualcosa che può estendersi alla vera pelle dell’individuo nella veglia: il vestito, la cosa che assicura il passaggio dalla sensibilità del corpo al senso.(6) Con una concezione performativa della fotografia, quest’artista riesce a dilatare l’istantanea (7) e a rendere evanescenti le immagini. Daniela De Lorenzo mette in moto la sua immaginazione prendendo come pretesto la catalessi delle isteriche, quella “statua espressiva” che reclama su di sé lo sguardo fotografico (8) senza però rimanere ferma in una posa conclusiva, derivando piuttosto verso una sorta di temporalità coreografica.

Come nella catarsi il rigetto e la repulsione si uniscono al fascino per gli estremi, in questo caso la protezione può essere il momento previo a una resa senza condizioni, a quel distacco che tanto ci costa conseguire. L’arte rigorosa della cura di se stessi, che sembra essere alla base della proposta estetica di Daniela De Lorenzo, nasce da una singolare estraneità del corpo, un qualcosa di simile a ciò che Lacan definì extimité (estimità), un processo complesso in cui ci mettiamo profondamente in relazione con la Cosa. (9) Quel soggetto barrato di cui parla Lacan (10) ci avvicina al desiderio che può sbocciare partendo dall’indeterminazione, dall’indicibilità o persino dalla destinerranza. “Pertanto -scrive Derrida- credo che, proprio come la morte, anche l’indicibilità, che chiamo anche la “destinerranza”, e cioè la possibilità che ha un gesto di non giungere mai a destinazione, è la condizione del movimento del desiderio che, altrimenti, morirebbe a priori” . (11) Il desiderio è un insieme di godimento e di insoddisfazione che non può essere spacciato per “assenza essenziale”; forse l’abbandono della sofferenza diversa ha a che vedere con la rinuncia che facciamo di noi stessi e, naturalmente, con la difficoltà di stabilire l’incontro con l’altro. Lyotard parlò della formula post-moderna, in un immaginario conflittuale, come di un lasciare la risposta in sospeso, senza escludere che vi sia un qualcosa di Altro, “un po’ di mancanza e un po’ di desiderio ”. (12) Le sculture in feltro, come per esempio Cura la tua destra (2005) o Dimentico subito o non dimentico mai (2006), di Daniela De Lorenzo funzionano come oggetti transizionali: “la sfilacciatura di un panno, il pezzo di coccio amato che non si staccano dal labbro né dalla mano”. (13) Non v’è dubbio che il distacco e la castrazione intervengano nell’emergenza del soggetto. “La castrazione significa che è necessario che il godimento venga respinto affinché possa essere raggiunto nella scala inversa della Legge del desiderio” . (14)

Ciò che manca è quell’altro che è cruciale nel desiderio che a volte attraversa quel taglio non per trovare meramente la nudità bensì per sentire la paura, insuperabile, della finitudine. Il distacco, legato alla problematica pulsione di morte, è un qualcosa di primordiale per quel soggetto che è una breccia in cui possono cadere gli “attaccamenti appassionati”. (15) Dobbiamo intendere la pulsione di morte come un deragliamento ontologico, un gesto di dis-investitura che rimanda alla dissoluzione della libido: ciò che spiazza il soggetto (nel processo della sua costituzione) è l’incontro traumatico con il godimento. L’io, costituito specularmente, crede di avere attorno a sé un terreno pieno di rottami e proprio per questo si fortifica; (16) vedere se stessi come dei soggetti unitari implica una forma di repressione visiva. Se il desiderio porta sempre all’impossibilità della sua soddisfazione, la pulsione trova la sua soddisfazione nello stesso movimento destinato a reprimere tale soddisfazione: “mentre il soggetto del desiderio si basa sulla mancanza costitutiva (esiste perché è alla ricerca dell’oggetto-causa mancante), il soggetto della pulsione si basa su un eccedente costitutivo: nella presenza eccessiva di una Cosa intrinsecamente “impossibile” e che non deve trovarsi lì, nella nostra realtà presente: la Cosa che, naturalmente, alla fin fine è il soggetto stesso. (17) Nelle sculture di feltro ciò che manca è il corpo. Derrida sostiene che soltanto in mancanza di una presenza piena è possibile l’esperienza, tra le altre cose, dell’opera d’arte. (18)

Potremmo pensare che la nudità, quell’azione decisiva, (19) sia un insieme di pienezza sensitiva e resistenza alla codificazione socialmente stabilita. L’opera di Daniela De Lorenzo allude permanentemente a un denudamento radicale, ovvero a un gesto in cui letteralmente si lascia la pelle. Il feltro, un materiale enormemente caratteristico da quando lo utilizzarono artisti come Beuys nel suo processo totemico-sciamanico o come Robert Morris in funzione della sua estetica dell’anti-formale, è una superficie morbida (20) di colore e di caratteristiche neutre, sebbene anche allegoriche della pelle. Nelle sculture “gravitanti” di Daniela De Lorenzo, troviamo l’impronta del corpo umano. Questi abiti disabitati fungono da trasmittenti dei sentimenti, soprattutto di quello che, rifacendoci a Freud, chiamiamo l’inospite. In un certo senso, quelle forme hanno un certo che di “familiare”, potremmo vederle come dei vestiti inconclusi. È risaputo che gli esseri umani sono corpi vestiti; (21) lo stesso Bataille sapeva che gli indumenti sono associati all’erotismo come un aspetto dell’esperienza interna a differenza della sessualità animale; si sa che nascondendo il corpo, la roba eccita la curiosità sessuale “e provoca nell’osservatore il desiderio di toglierla” . (22) Quando, tuttavia, ci troviamo davanti alle creazioni di Daniela De Lorenzo non vogliamo spogliare nessuno bensì ricuperare il corpo, colmare il vuoto, proiettare, valga il letteralismo, le immagini dai video verso quei feltri fantasmatici. La dinamica di assenza e presenza corporea che si riscontra impegna lo spettatore e l’interpretazione in un lavoro di trasferimento, guardando sempre almeno due volte questa situazione sintomatica.(23)

Mario Perniola ha proposto la concezione del corpo come veste estranea, come un qualcosa che potrebbe estendersi fino a una libido dell’abbigliamento da cui può scaturire un’eccitazione tanto materiale quanto speculativa in cui il soggetto può individuarsi nell’anonimità, (24) nella parvenza inquietante del feltro così come lo lavora Daniela De Lorenzo. Il corpo di cui la sessualità neutra ha sentore non è macchina, bensì cosa, tenendo in considerazione che l’esperienza della pelle e del corpo come insieme di tessuti è, per la loro esteriorità, “ciò che di più opposto si può trovare allo spiritualismo etico-estetico”.(25) Se gli indumenti possono trasmettere l’atteggiamento e il carattere dell’individuo che li indossa, si può ugualmente pensare alla pelle come a un tessuto, un abito eccitante, un qualcosa “che ci circonda e ci avvolge”.(26) E, certamente, le sculture, simili a indumenti o involucri corporali, di Daniela De Lorenzo non sono erotiche bensì inquietanti, disposte in modo da farci pensare alla dimensione di quello che Hegel chiamava la “certezza sensibile”.

Il corpo è un prodotto tardivo, una scelta dell’Occidente in cui appare la caratteristica cruciale della caduta: è l’ultimo peso, e cioè la gravità. Potremmo però parlare del corpo anche come un qualcosa di disastroso o, piuttosto, come la nostra angoscia messa a nudo. E lì si perde piede. Non abbiamo nessun dubbio che la danza percorre ossessivamente quella pelle piegata e ripiegata, tersa ed eccitata, legata o slegata, quei luoghi di vita, quell’essere-provocante che è il corpo. I corpi, che possono causare meraviglia, sono essenzialmente lenti, come pure i gesti, l’esibizione di una medialità, possono essere motivo di stupore per la loro istantaneità. L’opera di Daniela De Lorenzo che rivela un’intensa meditazione sulla corporalità al di là della metafisica della presenza, ci insegna che bisogna essere preparati per ascoltare l’inaudito. Ma come toccare il corpo con l’incorporeità del senso? Forse dovremmo fare del senso un tocco, un tatto, un modo di fare. Quel tocco è il limite, il distanziamento dell’esistenza. Dopo queste divagazioni attraverso le quali volevo rendere noto un avvenimento straordinario, credo che quantomeno decisivo sia toccare le cose con la lingua. “Toccare l’interruzione del senso -dice Jean-Luc Nancy-, ecco quello che mi interessa riguardo al corpo”. (27) Tocchiamo fondo o, piuttosto, ci accorgiamo dell’esistenza del suolo. Attraverso il mio piede, io mi tocco; si tratta di toccare il fuori. L’io è un toccare quella esteriorità, (28) ma soprattutto il corpo è un tono, una tensione. “Un corpo è ciò che spinge i limiti al massimo, alla cieca, a tentoni, quindi toccando. Esperienza di che cosa? Esperienza di “sentirsi”, di toccare se stessi. […] Il corpo è l’esperienza di toccare indefinitamente l’intoccabile, ma nel senso che l’intoccabile non è un qualcosa che è dietro, né un interno, né una massa, né un Dio. L’intoccabile è che tocca. Si può usare anche un’altra parola per dire lo stesso: ciò che tocca, ciò per cui è toccato, appartiene alla sfera dell’emozione. (29)

Nell’opera di Daniela De Lorenzo abbiamo una logica, allo stesso tempo del senso e della sensazione, in quella profondità della superficie, (30) al confine epidermico che ci protegge, anche se precariamente, dal mondo, senza per questo smettere di sedimentare tutte le circostanze e, finalmente, essere umana carnalità del mondo. Il suo pensiero sul corpo è ritmo, è spaziare, è battito, è scandire il tempo della danza, il passo del mondo. (31) Dobbiamo assumere la non razionalità, comprendere che la nostra corporalità è, molto spesso, isterica.(32) Non c’è uno schema che prescriva la libertà come il “senso” del mondo dei corpi, e neppure c’è una figura che (rap)presenti questo “senso” in questo mondo. In tal modo, non c’è corpo, non c’è organon del mondo – e neppure potrebbero esserci due “mondi” (plurale, contraddittorio). A questo proposito è vero che il mondo dei corpi è “immondo”, ansito e piaga dei corpi che si trovano nella chiarezza dell’espansione o nell’implosione del buco nero. L’infinito consumo di qualche grammo, il sussulto del mondo creato, si inscrive e si scrive anche come un tremore di terra: la dislocazione è anche lo scricchiolio della gravità tettonica, e la rovina dei luoghi”. (33) La caduta (o la contrattura che vediamo nel video Agile, realizzato nel 2004 da Daniela De Lorenzo) è l’attivo, è il passaggio ad altri livelli di sensazione. “La maggior parte degli artisti – scrive Deleuze nel suo studio su Francis Bacon- che hanno affrontato questo problema dell’intensità della sensazione sembrano aver trovato questa stessa risposta: la differenza di intensità si prova nella caduta” . (34) La tensione si prova nella caduta, nell’inciampare, nel movimento più interno del clinamen, senza che qui sia implicita la miseria, il fallimento o la sofferenza. La caduta è ciò che di più vivo vi sia nella sensazione, quella sensazione che si prova come essere vivente: è il ritmo attivo.

Le azioni che concentrano diverse epoche di Daniela De Lorenzo sono allegorie delle “assenze” corporali, l’esperienza della solitudine e lo stupore che può provocare la propria pelle; come afferma Raffaele Gavarro, si tratta di un corpo “abbandonato nell’impermeabile eternità della materia inanimata”. (35) Gli esercizi “coreografici” che vediamo nei video di questa artista ci rimandano alla stilistica, molto retoricizzata, della “perversione”. Va tenuto presente che per Freud la perversione non è sovversiva, anzi, l’inconscio non è accessibile attraverso di essa. L’esternazione, quasi oscena del perverso fa sì che allo stesso tempo le fantasie si moltiplichino e che l’inconscio si perda. Forse c’è in queste idee una mitologia, implicita, dell’inconscio come velo. “Il perverso, con la sua certezza su ciò che apporta godimento, nasconde la fessura, la “questione scottante”, l’impedimento, che è il nucleo dell’inconscio.(36) Zizek sostiene che, nell’era della “declinazione dell’Edipo”, in cui la soggettività paradigmatica non è più quella del soggetto integrato nella legge paterna mediante la castrazione simbolica, bensì quella del soggetto “perverso polimorfo” che ubbidisce al godimento comandato del super-io, dobbiamo isterizzare il soggetto, e cioè ricuperare quel campo di battaglia tra i desideri segreti e i divieti simbolici. In questa volontà, estranea, di inculcare la trasgressione (accanto all’ambiguo fascino nei confronti della ferita) riapparirebbe non soltanto la sessualizzazione bensì una modulazione di ciò che Kant denominò sentimento sublime (quell’insieme di piacere e ripugnanza o terrore). Ma può darsi che allora quell’Altro dell’isteria venga investito dagli arcaici fulgori del numinoso.

Nel video Agile, Daniela de Lorenzo fa sì che una ballerina adotti delle pose isteriche, in un lucido ritorno a Charcot e al suo singolare teatro isterico in cui si verifica una singolare “deformazione dell’arte”. (37) L’isteria è stata interpretata come uno spettacolo portato al limite (38) in cui il desiderio di essere toccato o, piuttosto, di essere catturato in un istante di pausa esige l’intervento della fotografia. Daniela De Lorenzo esegue una revisione dell’Iconographie photographique de la Salpetriere prendendo coscienza della estranea presenza della iperattualità di tali immagini. La stessa gestualità rarefatta di Dammi il tempo! (2006) ha spinto la critica a pensare ad una sorta di dimostrazione della Sindrome di Tourette (39) in cui si perde la fluidità dei gesti. Agamben ha associato tale disordine del corpo in cui pare che la muscolatura balli con le fotografie dell’uomo che cammina di Muybridge, sottolineando che questa situazione è l’inizio di una completa scomparsa dei gesti della borghesia. Definitivamente, gli uomini contemporanei vivranno dispiegando una gestualità frenetica (40) accettando, senza angoscia, la totale perdita della memoria.

La barra del soggetto (psicoanaliticamente parlando, ancora una volta) è il contrario di una barriera.(41) Le teste fantasmatiche di Daniela De Lorenzo sono dei ritratti in assenza in cui c’è tanto narcisismo e passionalità quanta allucinazione, possessione o sublimazione.(42) Ricordiamo le fotografie delle isteriche, veri e propri cataloghi di volti contratti che, secondo Charcot, corrisponderebbero ai desiderata dell’arte e avrebbero il carattere di “un’ortografia dell’espressione delle passioni”.(43) Le immagini di Daniela De Lorenzo, che Saretto Cincinelli con estrema lucidità ha definito “la pratica di cattura di aspetti ‘invisibili’ del reale” (44) hanno a che vedere con l’ipnotismo, la tecnica che Charcot sviluppò per poter avviare la sua esibizione “artistica”.(45) Perché Dammi il tempo! è un tenace esercizio di replica dell’accadimento, simile alla reinvenzione del tempo del trauma. Nell’isteria charcotiana si trattava di rappresentare nuovamente un’ipotetica “prima scena”, provocare sensazioni sgradevoli e indurre alla “disgiunzione”. La ripetizione “coreografica” di Daniela De Lorenzo porta, come succedeva in quel “museo patologico vivente” della Salpetriere, all’isteria, sempre nel modo più visibile, verso la quintessenza plastica del sintomo. Quello spettacolo di esibizione di cose passate si trasforma, nell’artista italiana, in un artificio gemellare post – performativo che implica una mise en abyme del procedere mimetico. Di nuovo la teatralità isterica viene sovrapposta alla teatralità estetica, in un esercizio, in tutti i sensi, impressionante e persino ipnotico. (46)

I ritratti di sembianti in movimento della serie Distrazione (2000) mi fanno pensare a un’apostrofe (47) o a una, mi sia consentito l’ardire, masturbazione (medusea) dell’occhio. (48)  A volte, cercando di ritardare o di distogliere quello sguardo dalla morte, ci dedichiamo a lavori titanici in cui letteralmente ci lasciamo la pelle o, detto in tono meno drammatico, bisogna acconciarsi per evitare un’immagine di rimando atroce; invece del riflesso, ombra, nella realtà pietrificata si proietta unicamente luce, come un’allegoria della perdita della memoria in mezzo a tutte le immagini. In Al di là del principio del piacere, Freud avverte che la consapevolezza nasce dall’orma di un ricordo e cioè dall’impulso tanatico e dalla degradazione del vissuto, un qualcosa che la fotografia sostiene come duplicato della realtà ma anche come teatro della morte. All’età del crollo della memoria (quando la vertigine catodica ha imposto la sua malia) il tempo si è smembrato; “da quello smembramento -scrive Trías- sorge la presenza di una reminiscenza”. (49) L’arte conosce l’importanza di emergere dal tempo, per cercare le corrispondenze come un incontro (memoria involontaria) che frena il discorrere accelerato della realtà. La posa medusea (50) delle opere di Daniela De Lorenzo è, in buona parte, il risultato del suo immane sforzo per ricuperare ciò che perdiamo, ovvero per incorporare i ricordi senza dargli, per il momento, una struttura narrativa.

Il Reale non è nessuna “realtà vera” dietro la simulazione virtuale, bensì il vuoto stesso che rende la realtà incompleta/inconsistente, e la funzione di ogni matrice simbolica consiste nel nascondere tale inconsistenza; una delle maniere di ottenere detto occultamento è proprio far finta che dietro la realtà incompleta/inconsistente che conosciamo vi sia un’altra realtà non strutturata attorno ad una impossibilità. Non è il momento della scomparsa dei veli e della teatrale alzata del sipario, bensì quello dell’accettazione dello schermo.(51) Daniela De Lorenzo vuole un darsi del tempo in cui il corpo rimane impressionato da e sull’impronta luminosa. In una certa misura, tale posizione “adattativa” è mitica; ricordiamo che i miti sono soliti trattare l’ineluttabilità, la dolorosa scoperta di alcuni limiti duri; anche se si fugge, qualcosa tornerà. Non scappiamo facilmente dall’esteriorità, il tessuto-vestito (realizzato con quel feltro che è il vestigio di un’assenza) torna, si piega incessantemente. I corpi sono incriptati (mise in crypte) negli indumenti che non può mettersi il soggetto; l’arte è soggetto, inevitabilmente, agli ornamenti (parerga), quel limite estraneo contro cui reagisce il discorso filosofico.(52)

Non ci può interessare la Neutralità, (53) ciò che ci cattura è, anche se può sembrare demenziale, l’incomodità, l’inospitalità, quel sentire unheimlich che Pier Luigi Tazzi riscontra nell’opera di Daniela De Lorenzo. (54) Perché tutta la sua opera è un intenso esercizio di dualità, dove collega l’anatomia all’inquietudine, la specularità alla matrice isterica dell’assenza. (55) Nonostante l’approccio alla traumaticità, l’immaginario di quest’ artista acquisisce la levità della coreografia. “Dispiegandosi -scrive Lacan- nella cattura immaginaria, la finzione viene integrata nel gioco di avvicinamento e di rottura che costituisce la danza originaria, in cui le due situazioni vitali trovano la loro scansione, e i partecipanti che dispongono in base ad essa ciò che ci azzarderemo a chiamare danzità. (56) In certe suggestioni del teatro isterico sembra che si esegua una sorta di danza, un dondolamento, una pavana arcana. (57) Daniela De Lorenzo rinuncia alla rappresentazione di un soggetto assoluto per proporre una soggettivazione processuale, in una danza che è anche un ripiegamento. La serie Ritrarsi (2003) ritrae l’indugio e la tensione del soggetto; il ritrarsi corporale dell’isteria (58) differenzia il velare dallo svelare.(59)

Daniela de Lorenzo sa che non esiste un’identità univoca (60) e che la fantasia fondamentale deve restare inaccessibile perché, se il soggetto si avvicina troppo, quel nucleo ossessivo perde consistenza. Tale necessità della repressione la allontana da un ingenuismo spontaneistico. L’inconscio è un fenomeno inaccessibile nel senso più radicale della parola, e non un meccanismo obiettivo che regola la propria esperienza fenomenica. Quello che fa Daniela De Lorenzo è dare la possibilità di minare il controllo che esercita la fantasia su di noi attraverso la sovraidentificazione con essa, ovvero abbracciando simultaneamente nello stesso spazio tutta la sua molteplicità di elementi fantasmatici. Bisogna cercare di attraversare (traverseer) la fantasia, sapendo che il senso, così come ce lo mostrarono Lévi-Strauss o Lacan, probabilmente non è altro che un effetto di superficie, un miraggio, una schiuma. La lettura sintomale denuncia l’illusione dell’essenza, la profondità o la compiutezza a beneficio della realtà della frammentazione, la rottura o la maturazione. L’arte sta sempre cercando di appropriarsi “dell’altra scena”, ovvero di quel luogo in cui il significante esercita la sua funzione nella produzione delle significazioni che restano non conquistate dal soggetto e da cui quest’ultimo dimostra di essere separato da una barriera di resistenza. È la caduta del soggetto che si suppone che sa ciò che si oppone alla nozione di liquidazione del trasferimento. L’arte può sconvolgere ciò che impone il sintomo, ovvero la verità. Nell’articolazione del sintomo con il simbolo non v’è altro che un buco fittizio. (61) Il linguaggio è legato a un qualcosa che buca ciò che è reale. E noi (soggetti/barrati), per poter evitare la nostra dissoluzione, abbiamo bisogno di annodare l’esperienza, anche se è con un dire-a-metà. Il reale si trova -dice Lacan- nei grovigli del vero. (62) Il reale è sempre un frammento, un germoglio attorno al quale il pensiero tesse le storie; lo stigma del reale è il non legarsi a nulla. Tra la passione vorace e il sentimento annichilente, possiamo avere l’impressione che tutto si dissolva nel nonsenso.

Daniela De Lorenzo ha sviluppato la singolare “arte” del non dire. (63) Perfino quando in alcune delle sue opere sentiamo dei frammenti sonori; per esempio del saggio sul riso di Bergson, (64) quello che sentiamo è la respirazione dell’arcano. Questa artista persiste, nel non più e il non ancora, nei suoi strani desideri, in un’apparizione del fantasmatico che ha la connotazione del deja vu. Vorremmo controllare quella sensazione anomala di ripetizione e, allo stesso tempo, fuggire dall’eccesso di godimento perché possiamo perderci nei nostri fantasmi. (65) Gilles de la Tourette segnalò che “nulla può imitare l’isteria, che costituisce il sintomo della propria isteria”. La mimesi è il sintomo isterico per eccellenza: un’isterica ripeterà tutto quello che gli altri dicono attorno a lei, vorrà essere tutti loro o, piuttosto, avrà voluto possedere l’essere di ognuno di loro. Teatralismo, istrionismo, identificazioni, giochi di superficie a cui Daniela De Lorenzo ricorre per far conoscere la breccia del soggetto. Il suo atteggiamento passionale reclama il dono assoluto del tempo.(66)

Le opere di Daniela De Lorenzo alludono, al di là di ogni dogma letterale, al desiderio di ricuperare l’essere (67) perché ciò che abbiamo è la cenere del tempo (68) o l’ombra del corpo. Jung considerava che gli archetipi che con maggiore frequenza e intensità influiscono sull’io sono l’ombra, l’anima e l’animus: “la figura più accessibile all’esperienza è l’ombra, la cui indole si può dedurre in gran misura dai contenuti dell’inconscio personale”. (69) Se, da una parte, è l’espressione della negatività, anche in tali ossessioni che racchiude l’ombra si trova una potenza, acquisisce la forma dell’emozione che non è un’attività bensì un avvenimento che ci sopraggiunge. L’ombra è, dunque, una proiezione emozionale che sembra situarsi senza dubbio nell’altro. Il risultato della proiezione è un isolamento del soggetto rispetto all’entourage, in quanto si stabilisce con questo una relazione non reale, bensì illusoria. Per mezzo dell’ombra si incarna precisamente una realtà, un volto sconosciuto, la cui essenza permane irraggiungibile. Il soggetto si manifesta attraverso tali ombre che è riuscito a fissare sulla parete (la mitica storia d’amore, distanza e malinconia di cui parla Plinio nella sua Storia Naturale come origine mitica della pittura); l’arte comincia come tatto del desiderio assente. Tale contorno dell’ombra di un uomo (omnes umbra Hominis Lineis circunducta) serve ad articolare una metafisica dell’immagine come presentazione dell’assente, rielaborazione dell’erotico perduto nel ricordo. Daniela De Lorenzo non smette di allegorizzare l’ombra per mezzo dei suoi sosia fantasmatici. La sua ripetizione del passato porta ad una sorta di temporalità estetica, alla plasticità catalettica: un’imitazione portata al limite, una rappresentazione in cui tutti i tempi sono presenti. (70) Il distacco corporale di questa artista impone un enigmatico teatro del ritorno della memoria, la reiterazione di una “prima volta”, una gestualizzazione del fantasma (71) che mi induce a pensare che (ancora no) non sappiamo niente e che forse una parola servirebbe a far sì che facessimo ciò.(72)


Fernando Castro Flores
Testo dal catalogo Encara de Nou 2008, La Gallera, Valencia.
a cura di Alba Braza.


note

1 -Jacques Derrida: Dar (el) tiempo. I. La moneda falsa, Ed. Paidós, Barcellona, 1995, p. 37.
2 -Julia Kristeva: Poderes de la perversión, Ed. Siglo XXI, Messico, 1988, p. 177.
3 -“En nuestro tiempo, al parecer, vivimos el fin de la historia, del pensar y del inconsciente: después de Heidegger y bajo su influencia, al inconsciente ya no se lo busca en lo “real”, sino en lo que está ausente, en lo otro, “en-lo-que-se-sustrae-siempre-a-su-captura-conceptual”. Y en ésas, la apelación a lo otro, a lo oculto más allá de la cultura es todavía, con plena seguridad, una apelación a la metafísica” (Boris Groys: Sobre lo nuevo. Ensayo de una economía cultura, Ed. Pre-textos, Valencia, 2005, p. 199).
4 -“Lo Neutro consistiría en confiarse a la banalidad que está en nosotros o más simplemente, reconocer esa banalidad. Esa banalidad [...] se experimenta y se asume en el contacto con la muerte: sobre la muerte nunca hay más que pensamientos banales” (Roland Barthes: Lo neutro. Notas de cursos y seminarios en el College de France, 1977-1978, Ed. Siglo XXI, Buenos Aires, 2004, p. 135).
5 -“Prima ancora di dichiararsi opere, sculture o fotografie, quelle di De Lorenzo sono apparizioni, con quanto ne consegue in termini di pedigree” (Maria Perosino: “Di soppiatto, l´infinito” in Daniela De Lorenzo. Harmonica, Galleria Antonella Nicola, Torino, 2002).
6 -“En cuanto al cuerpo humano, Hegel ya había sugerido que tenía una relación de significación con el vestido: en tanto que sensible puro, el cuerpo no puede significar; el vestido asegura el paso de lo sensible al sentido; es, si se prefiere, el significado por excelencia” (Roland Barthes: El sistema de la moda, Ed. Gustavo Gili, Barcellona, 1978, p. 221).
7 -“[...] il tentativo messo in atto dall´artista: dilatare l´istantanea sino ad un punto di non ritorno, è quello di dare consistenza al frattempo, all´invisible del fra, ad un divenire che non diviene (che non cessa di finire che non finisce di iniziare), che sembra modulare l´immagine più che modellarla” (Saretto Cincinelli: “Carambole” in Daniela De Lorenzo, Harmonica, Galleria Antonella Nicola, Torino, 2002).
8 -Per Charcot l’espressione delle emozioni è una pura questione somatica. Il corpo ipnotizzato funziona come una “statua espressiva” da cui, secondo Charcot, “gli artisti potrebbero trarre il massimo vantaggio”: Come i fotografi: “la inmovilidad de estas actitudes así obtenidas es eminentemente favorable a la reproducción fotográfica”, giunge ad affermare Charcot, che allega alla pubblicazione dei suoi corsi delle bellissime stampe, incredibilmente “suggestive”, ottenute da Londe (Georges Dici-Huberman: La invención de la histeria. Charcot y la iconografía fotográfica de la Salpetriere, Ed. Cátedra, Madrid, 2007, p. 270).
9 -“El problema consiste en que, al “circular alrededor de sí mismo” como su propio sol, ese sujeto autónomo encuentra en sí algo que es “más que él mismo”, un cuerpo extraño que está en su mismo centro. A esto apunta el neologismo lacaniano extimité, extimidad, la designación de un extraño que está en medio de la intimidad. Precisamente por dar vueltas alrededor de sí mismo, el sujeto circula en torno a algo que es “en él mismo más que él mismo”, el núcleo traumático del goce que Lacan nombra con las palabras alemanas Das Ding (La Cosa)” (Slavoj Zizek: Mirando al sesgo. Una introducción a Jacques Lacan a través de la cultura popular, Ed. Paidós, Buenos Aires, 2000, p. 276).
10 -“El “sujeto barrado” lacaniano no está “vacío” en el sentido de alguna “experiencia de vacío” psicológico-existencial, sino en el sentido de una dimensión de negatividad autorreferencial que elude a priori el dominio de lo vécu de la experiencia vivida” (Slavoj Zizek: El espinoso sujeto. El centro ausente de la ontología política, Ed. Paidós, Buenos Aires, 2001, p. 276).
11 -Jacques Derrida: ¡Palabra! Instantáneas filosóficas, Ed. Trotta, Madrid, 2001, p. 42.
12 -Jean-Francois Lyotard: “El imaginario postmoderno y la cuestión el otro en el pensamiento y la arquitectura” en Pensar-Componer/Construir-Habitar, Ed. Arteleku, San Sebastián, 1994, p. 38.
13 -Jacques Lacan: “Subversión del sujeto y dialéctica del deseo en el inconsciente freudiano” en Escritos, vol. 2, Ed. Siglo XXI, Messico, 1989, p. 794.
14 -Jacques Lacan: “Subversión del sujeto y dialéctica del deseo en el inconsciente freudiano” en Escritos, vol. 2, Ed. Siglo XXI, Messico, 1989, p. 807.
15 -“La necesidad de que el apego apasionado proporcione un mínimo de ser implica que ya está allí el sujeto en cuanto “negatividad abstracta” (el gesto primordial de des-apego respecto de su ambiente). La fantasía es entonces una formación defensiva contra el abismo primordial del des-apego, de la perdida del (apoyo en el) ser, que es el propio sujeto. Entonces, en este punto decisivo hay que suplementar a Butler: la emergencia del sujeto no equivale estrictamente a la sujeción (en el sentido de apego apasionado, de sumisión a alguna figura del Otro), puesto que para que se produzca ese apego apasionado ya debe estar allí la brecha que es el sujeto. Solo si esta brecha ya está allí podemos explicar la posibilidad de que el sujeto se sustraiga al poder del fantasma fundamental” (Slavoj Zizek: El espinoso sujeto. El centro ausente de la ontología política, Ed. Paidós, Buenos Aires, 2001, p. 310).
16 -“La formación del yo [je] se simboliza oníricamente por un campo fortificado, o hasta un estadio, distribuyendo desde el ruedo interior hasta su recinto, hasta su contorno de cascajos y pantanos, dos campos de lucha opuestos donde el sujeto se empecina en la búsqueda del altivo y lejano castillo interior, cuya forma (a veces yuxtapuesta en el mismo libreto) simboliza el ello de manera sobrecogedora” (Jacques Lacan: “El estadio del espejo como formador de la función del yo [je] tal como se nos revela en la experiencia psicoanalítica” in Escritos, vol. 1, Ed. Siglo XXI, Messico, 1989, p. 90)
17 -Slavoj Zizek: El espinoso sujeto. El centro ausente de la ontología política, Ed. Paidós, Buenos Aires, 2001, p. 329.
18 -“La presencia significaría la muerte. Si la presencia fuera posible, en el sentido pleno en el que un ser que es ahí donde está, que se aparece pleno ahí donde está, si esto fuera posible no existiría ni Van Gogh ni la obra de Van Gogh, ni la experiencia que nosotros tenemos de esa obra” (Jacques Derrida intervistato da Peter Brunette e David Wallis: “Las artes espaciales” in Acción Paralela, n° 1, Madrid, Mayo 1995, p. 19).
19 -“La acción decisiva es ponerse desnudos. La desnudez se opone al estado cerrado, es decir, al estado de existencia discontinua. Es un estado de comunicación, que revela la busca de una continuidad posible del ser más allá de un replegamiento sobre sí. Los cuerpos se abren a la continuidad por esos conductos secretos que nos dan el sentimiento de la obscenidad. La obscenidad significa el trastorno que desarregla un estado de los cuerpo conforme a la posesión de sí, a la posesión de la individualidad duradera y afirmada” (Georges Bataille: El erotismo, Ed. Tusquets, Barcellona, 1985, p. 31).
20 -“Le sculture in mostra al contrario delle precedenti sono rigide, costruite con diversi strati di feltro, come un calco irrigidito in una postura attraverso strane contratture, mentre in precedenza la cucitura determinava la postura del materiale morbido in caduta libera” (Laura Cherubini: “Daniela De Lorenzo. Il ritratto come compagno segreto” in Antonio Catelani, Daniela De Lorenzo. Double, Incontri a Montellori, Fucecchio, Ed. Gli Ori, 2004).
21 -““Hay un hecho evidente y prominente sobre los seres humanos”, dice Turner al comienzo de su libro el cuerpo y la sociedad: exploraciones en teoría social, “tienen cuerpos y son cuerpos”. Es decir, el cuerpo constituye el entorno del yo, es inseparable del yo. Sin embargo, lo que Turner omite en su análisis es otro hecho evidente y prominente: que los cuerpos humanos son cuerpos vestidos. El mundo social es un mundo de cuerpos vestidos. La desnudez es totalmente inapropiada en casi todas las situaciones sociales e incluso en situaciones donde se exhibe demasiada carne (en la playa, en la piscina, incluso en el dormitorio); es probable que los cuerpos que se encuentran en estas situaciones vayan adornados, aunque sólo sea con joyas o perfumes: cuando a Marilyn Monroe se le preguntó qué llevaba puesto para irse a la cama, ésta respondió que sólo llevaba Chanel número 5, lo cual ilustra cómo el cuerpo, incluso sin adornos, puede seguir adornado o embellecido de algún modo” (Joanne Entwistle: El cuerpo y la moda. Una visión sociológica, Ed. Paidós, Barcellona, 2002, p. 19).
22 -V. Steele: Fashion and Eroticism: Ideals of Feminine Beauty from Victorian Age to the Jazz Age, Oxford University Press, 1985, p. 42.
23 -Georges Didi-Huberman segnala che l’ Iconographie photographique della Salpetriere è una collezione di “detenzioni”, di ritardi: “Mirar siempre dos veces, ésta era la metodología de Charcot en relación con la visibilidad de los síntomas. Ver y medir, ver y rehacer mediante la hipnosis. Ver y fotografiar” (Georges Didi-Huberman: La invención de la histeria. Charcot y la iconografía fotográfica de la Slapetriere, Ed. Cátedra, Madrid, 2007, p. 327).
24 -“Paradójicamente, nos acercamos más a una sexualidad neutra mediante la abstinencia que a través de experiencias vitalistas y espiritualistas que ofrecen como sexualidad la exuberancia animal o la exaltación del alma: el desenfreno de la primera y la exaltación de la segunda llevan a situaciones ya ridículas, ya trágicas, pero en todo caso alejadas de la impresión de experiencia límite que acompaña el ofrecer el propio cuerpo como una vestidura extraña, no al placer o al deseo de otro, sino a una impersonalidad e insaciable excitación especulativa que no se cansa de recorrerlo, penetrarlo, de calzarlo, que entra, se insinúa, se enclava en nosotros hacia una completa exterioridad en la que todo es superficie, tela, piel” (Mario Perniola: El sex appeal de lo inorgánico, Ed. Trama, Madrid, 1998, pp. 21-22).
25 -Mario Perniola: El sex appeal de lo inorgánico, Ed. Trama, Madrid, 1998, p. 66.
26 -Mario Perniola: El sex appeal de lo inorgánico, Ed. Trama, Madrid, 1998, p. 66. Ma nel caso di David Delfín tali indumenti sono una pelle simbolica, diversa da quella “seconda pelle” di una certa moda che è una sorta di “rivestimento di cellofan” o corazza vetrificata che cerca di offrire un’immortalità astratta, cfr. Nicola Squicciarino: El vestido habla: consideraciones psico-sociológicas sobre la indumentaria, Ed. Cátedra, Madrid, 1990, p. 94.
27 -Jean-Luc Nancy: Corpus, Ed. Arena, Madrid, 2003, p. 97.
28 -“Entonces, ya no hay que decir, o habría que intentar no decir ya, que el ser del cuerpo, el sí mismo cuerpo, el ser consigo de un cuerpo, la relación consigo en tanto que sentirse fuera, en tanto que un dentro que se siente fuera, no hay por tanto ya que decir que eso es la propiedad de un sujeto o de un ego, sino que eso es el “Sujeto”. E incluso “sujeto” es extremadamente frágil, ya que no hay que decir que “yo” –cuerpo- soy tocado y que a mi vez toco –que yo soy sentido-, hay más bien que tratar de decir (y ahí está toda la dificultad) que “yo” es un toque” (Jean-Luc Nancy: Corpus, Ed. Arena, Madrid, 2003, p. 105).
29 -Jean-Luc Nancy: Corpus, Ed. Arena, Madrid, 2003, p. 110.
30 -“Es siguiendo la frontera, costeando la superficie, como se pasa de los cuerpos a lo incorporal. Paul Valery tuvo una frase profunda: lo más profundo, es la piel” (Gilles Deleuze: Lógica del sentido, Ed. Paidós, Barcellona, 1989, p. 33).
31 -“Rock: bajo esta cadencia de cuerpo, ocurre que nuestro mundo ha desplegado una mundialidad rítmica, del jazz al rap y más allá, una urgencia, una abundancia, un amontonamiento, una popularidad de posturas, una piel electrónica de zonas, agrupada, que muy bien se puede llamar, si uno quiere, ruido, ya que se trata primeramente en efecto del ruido de fondo que asciende cuando las formas ya no tienen vigencia, ni sentido (social, común, sentimental, metafísico)- y cuando por el contrario las estéticas han de ser rehechas directamente desde los cuerpos desnudos de sentido, privados de referencias, desorientados, desoccidentados, y cuando las artes han de ser rehechas de una parte a otra como la techen de la creación de los cuerpos. Sí, ruido: es como el reverso de un pensamiento, pero también es como lo que retumba en los repliegues de los cuerpos” (Jean-Luc Nancy: Corpus, Ed. Arena, Madrid, 2003, p. 88).
32 -“Porque finalmente habría que saber si el histérico se dedica, primero a la traducción, a la interpretación, o bien al contrario, y en lo más profundo, a un tenaz bloqueo de la transmisión del sentido. Discurso encarnado o cuerpo bloqueante: ¿quién no ve que sin cuerpo bloqueante ya ni siquiera hay histeria?” (Jean-Luc Nancy: Corpus, Ed. Arena, 2003, p. 21).
33 -Jean-Luc Nancy: Corpus, Ed. Arena, 2003, p. 79.
34 -Gilles Deleuze: Francis Bacon. Lógica de la sensación, Ed. Arena, 2003, p. 84.
35 -Raffaele Gavarro: “Il corpo sfinito” en Daniela De Lorenzo, Galleria Enrico Fornello, Ed. Gli Ori, Prato, 2007, p. 11.
36 -Slavoj Zizek: El espinoso sujeto. El centro ausente de la ontología política, Ed. Paidós, Buenos Aires, 2001, p. 264.
37 -“Freud, che aveva studiato con Charcot parlava dell´isteria come “deformazione dell´arte” nel senso che l´individuo affetto da questa malattia sublimava attraverso il gesto isterico il proprio mancato rapporto con il mondo, nello stesso modo in cui l´artista attraverso la propia opera tenta di sublimare il suo. Daniela De Lorenzo opera una sorta di viaggio a ritroso: parte dal corpo e dalle sue posture per raggiungere l´arte” (Pier Luigi Tazzi: “Reading” en Daniela De Lorenzo. Agile, Galleria Nicola Fornello, Prato, 2005).
38 -“Espectáculo llevado al límite. Esto significa también que el cuerpo histérico exige (y no que utiliza) una forma de teatralidad que el propio arte teatral hubiese temido sacar a la luz por lo mucho que se estigmatiza, en carne viva, una forma, desgarradora, de esencia del teatro. Puesta al límite de esta esencia. Así pues, un arte se precipita, se impacienta localmente, pasa por la prueba de una ausencia de fin, se des-obra en lo extremado mismo de su acto” (Georges Didi-Huberman: La invención de la histeria. Charcot y la iconografía fotográfica de la Salpetriere, Ed. Cátedra, Madrid, 2007, p. 220).
39 -“Una ballerina si muove partendo da un´immagine fissa, proiettata, di sé. Parte da quel punto, che è la sua immagine, e compie una serie di gesti, piccoli movimenti, che a volte l´allontanano dalla sua orma iconografica, e a volte sembrano portarla ad una nuova perfetta coincidenza. Che succede in questi video? Siamo di fronte ad una dimostrazione della sindrome di Tourette, ad una resa coreografica, poetica e intensa, di quella gestualità incontrollata e patologica?” (Raffaele Gavarro: “Il corpo sfinito” en Daniela De Lorenzo, Galleria Enrico Fornello, Ed. Gli Ori, Prato, 2007, p. 9).
40 -“Lo verdaderamente extraordinario es que estos desórdenes [del Síndrome de Tourette], después de haber sido diagnosticados en miles de casos a partir de 1885, dejan prácticamente de ser registrados en los primeros años del siglo XX, hasta un día del invierno de 1971 en que mientras paseaba por las calles de Nueva York, Oliver Sacks creyó poder señalar tres casos de tourettismo en el espacio de pocos minutos. Una de las hipótesis que pueden aventurarse para explicar tal desaparición es que ataxias, tics y distonias se hubieran convertido en norma durante aquel intervalo y que, a partir de cierto momento, todos habían perdido el control de sus gestos y caminaban y gesticulaban frenéticamente” (Giorgio Agamben: “Notas sobre el gesto” en Medios sin fin. Notas sobre la política, Ed. Pre-textos, Valencia, 2001, p. 50).
41 -“Es la idea totalmente loca de que uno podría liberarse del Otro, soltar las amarras, y hacer todo lo que quiera. Decir también todo lo que quiera: por ejemplo, toda la verdad. Pero es una ilusión. El Otro-barrado, no funciona; es un límite que no se alcanza. Sería un considerable placer, de todos modos, poder decir todo, hacer todo al mismo tiempo...” (Catherine Clément: Vidas y leyendas de Jacques Lacan, Ed. Anagrama, Barcellona, 1981, p. 33).
42 -Su tale questione della decapitazione come allucinazione-sublimazione, ha svolto un lavoro cruciale Julia Kristeva, cfr. “Visions capitales” in artpress, n° 235, Parigi, Maggio 1998, pp. 20-27.
43 -Fu Duchenne che segnalò Charcot come il maestro di tale singolare “ortografia”, cfr. Georges Didi-Huberman: La invención de la histeria. Charcot y la iconografía fotográfica de la Salpetriere, Ed. Cátedra, Madrid, 2007, p. 267.
44 -Saretto Cincinelli: “Carambole” in Daniela De Lorenzo. Harmonica, Galleria Antonella Nicola, Torino, 2002.
45 -“[...] la técnica de la hipnosis ofrecía a Charcot la libertad de intervención de un artista, ¡de un pintor!, sobre un “material” totalmente entregado a él. La sugestión hipnótica, escribe Freud, es comparable al arte de pintar, en el sentido en que Leonardo lo oponía a la escultura; trabaja per via di porre: deposita (al igual que el pintor deposita su pigmento), suple, proyecta, congela, enmarca” (Georges Didi-Huberman: La invención de la histeria. Charcot y la iconografía fotográfica de la Salpetriere, Ed. Cátedra, Madrid, 2007, p. 251).
46 -“Yo pasaría aquí a considerar esa teatralidad psiquiátrica de la Salpetriere como una tentativa específica de reconversión, una palabra muy fuerte. Reconvertir la espectacular “conversión” histérica, sustituir una temporalidad fulgurante de la repetición (en el sentido de la Wiederholungszwang freudiana, y puede que hasta el punto en el que ésta toca lo que Artaud formula sobre su teatro), la temporalidad fulgurante de los símbolos histéricos, por otra temporalidad diferente, reglamentada, la de su repetición (en el sentido de las representaciones teatrales) hipnótica” (Georges Didi-Huberman: La invención de la histeria. Charcot y la iconografía fotográfica de la Salpetriere, Ed. Cátedra, Madrid, 2007, p. 322).
47 -Jean Clair ha ricordato che nei vasi greci i personaggi che appaiono frontalmente sono divinità come Gorgone, la musa Calliope o Dionisio, sebbene lo faccia anche l’individuo in stato di parossismo, di terrore, di agonia, di pazzia, contemplando l’orlo della morte, cfr. Elogio de lo visible, Ed. Seix Barral, Barcellona, 1999, p. 234.
48 -“El erotismo metafísico de lo meduseo es un testigo seguro de rechazo de los cuerpos. Medusa fija su rasgo distintivo, paraliza su extensión: queda como una masturbación del ojo” (Jean-Luc Nancy: Corpus, Ed. Arena, Madrid, p. 38).
49 -Eugenio Trías: La memoria perdida de las cosas, Ed. Mondadori, Madrid, 1988, p. 120.
50 -“Più che la riuscita della performace, del resto, a Daniela De Lorenzo interessa, il suo necessario mancare il bersaglio: la messa in scena di un quasi capace di testimoniare l´ineludibile differenza che separa la medusazione della foto dal permutare dell´immagine video; oltre a una capacità mimetica è, qui, in questione, soprattutto, la (im)possibilità di sanare un anacronismo, il paradossale tentativo di annullare il ritardo originario fra la posa e il suo ri-facimento, quello scarto differenziale che, separando movimento e immobilità, rimanda ad infinitum l´epifania di una coincidenza” (Saretto Cincinelli: “Mancare la posa. Contrattempi” en Daniela De Lorenzo, Galleria Enrico Fornello, Ed. Gli Ori, Prato, 2007, p. 25).
51 -“No debemos olvidar aquí la ambigüedad radical de lo Real lacaniano: no se trata del referente último que cubrir/embellecer/domesticar con una pantalla de fantasía. Lo Real es también y primariamente la pantalla misma, como obstáculo que distorsiona ya-siempre nuestra percepción del referente, de la realidad que tenemos delante” (Slavoj Zizek: Lacrimae Rerum. Ensayos sobre cine moderno y ciberespacio, Ed. Debate, Barcellona, 2006, p. 186).
52 -“Esta delimitación [scritto da Kant ne La crítica del Giudizio] del centro y de la integridad de la representación, de su adentro y de su afuera, puede parecer insólita. Uno se pregunta además dónde considerar que comienza el vestido. Dónde empieza y dónde termina un párergon. Todo vestido sería un párergon” (Jacques Derrida: La verdad en pintura, Ed. Paidós, Buenos Aires, 2001, p. 68).
53 -“Lo Neutro consistiría en confiarse a la banalidad que está en nosotros o más simplemente, reconocer esa banalidad. Esa banalidad (ya lo he sugerido al decir que los grandes sufrimientos (los duelos) atraviesan fatalmente los estereotipos de la humanidad), esa banalidad se experimenta y se asume en el contacto con la muerte: sobre la muerte nunca hay nunca más que pensamientos banales” (Roland Barthes: Lo Neutro. Notas de cursos y seminarios en el College de France, 1977-1978, Ed. Siglo XXI, Buenos Aires, 2004, p. 135).
54 -Cfr. Pier Luigi Tazzi: “Reading” in Daniela De Lorenzo. Agile, Galleria Nicola Fornello, Prato, 2005,
55 -“[...] poiché ciò che Daniela De Lorenzo mette in mostra è che “isteria” significa dopotutto (ri)partire da una matrice malata di assenza, per la quale non ci sarà mai tempo abbastanza” (Alessandra Violi: “Nella spirale del tempo: i teatri dell´isteria di Daniela De Lorenzo” in Daniela De Lorenzo, Galleria Enrico Fornello, Ed. Gli Ori, Prato, 2007, p. 44).
56 -Jacques Lacan: “Subversión del sujeto y dialéctica del deseo en el inconsciente freudiano” in Escritos, vol. 2, Ed. Siglo XXI, Messico, 1989, p. 787.
57 -Cfr. Georges Didi-Huberman: La invención de la histeria. Charcot y la iconografía fotográfica de la Salpetriere, Ed. Cátedra, Madrid, 2007, pp. 294-295.
58 -“Dei corpi isterici fotografati dalla medicina nel tardo Ottocento si dice che essi non rappresentino nulla: nessuna malattia, se non quelle di un corpo-cliché talmente impresso da memoria di gesti e pose esterne da diventarne il proteiforme fantasma; nessuna anatomia riconoscibile, dato il potere degli affetti, contraendo gli arti in posture immaginarie o paralizzandoli in incongrue figure di pathos. Nell´isteria il soggetto si ritrae dal corpo [...]” (Alessandra Violi: “Nella spirale del tempo: i teatri dell´isteria di Daniela De Lorenzo” en Daniela De Lorenzo, Galleria Enrico Fornella, Prato, Ed. Gli Ori, 2007, p. 43).
59 -“[...] una Diferencia que no cesa de desplegarse y replegarse en cada uno de los dos lados, y que no despliega uno sin replegar el otro, en una coextensividad del desvelamiento y del velamiento del Ser, de la presencia y de la retirada del ente” (Gilles Deleuze: El pliegue. Leibniz y el barroco, Ed. Paidós, Barcellona, 1989, p. 45).
60 -“L´artista pare voler affermare l´impraticabilità della rivelazione del soggetto come identità univoca (il titolo della serie fotografica Ritrarsi allude al doppio significato di “tirarsi indietro” e di “ritrarre se stessi”), per privilegiarne la struttura, la sua exposizione, al di fuori, dietro e davanti” (Bettina Della Casa: “Daniela De Lorenzo. L´identico e il differente” in Daniela De Lorenzo. L´identico e il differente, Associazione Culturale Borgovico 33, Como, 2003, p. 4).
61 -Cfr. Jacques Lacan: El sinthome. El Seminario 23, Ed. Paidós, Barcellona, 2006, p. 24. La libido è parte del buco, come altre forme con cui vengono rappresentati il corpo e il reale, un qualcosa che, stando allo stesso Lacan, cerca di raggiungere la funzione dell’arte.
62 -“Esto fue precisamente lo que me condujo a la idea del nudo, que proviene de que lo verdadero se autoperfora debido a que su uso crea enteramente el sentido, de que se desliza, de que es aspirado por la imagen del agujero corporal que lo emite, a saber, la boca en la medida en que chupa. Hay una dinámica centrífuga de la mirada, es decir, que parte del ojo que ve, pero también del punto ciego. Parte del instante de ver y lo tiene como punto de apoyo. En efecto, el ojo ve instantáneamente. Es lo se llama la intuición, por lo cual redobla lo que se llama el espacio en la imagen” (Jacques Lacan: El sinthome. El Seminario 23, Ed. Paidós, 2006, p. 83).
63 -“[...] y el arte es siempre el arte de no decirlo, y de exponer lo que no está para ser dicho (no un indecible sino el no-a-decir del sentido), en la misma totalidad de lo que está expuesto, como lo decible mismo, y más aún como el decir mismo, como todo el decir en su fragmentación” (Jean-Luc Nancy: El sentido del mundo, Ed. La Marca, Buenos Aires, 2003, p. 192).
64 -“L´installazione sonora presentata negli spazi di Borgovico 33 propone infatti –tra altri lavori- alcuni brani rivelatori tratti dallo scritto Il Riso. Saggio sul significato del comico (1900) del filosofo francese Henri Bergson. I frammenti di testo -recitati da una voce femminile- si alternano al suono di respiri di varia modulazione e intensità. Ascoltiamo in sottofondo alcune frasi: “[...] La immaginazione poetica non può essere che una visione più completa della realtà”” (Bettina Della Casa: “Daniela De Lorenzo. L´identico e il differente” en Daniela De Lorenzo. L´identico e il differente, Associazione Culturale Borgovico 33, Como, 2003, p. 2).
65 -“[...] nos podemos perder en el fantasma, el fantasma nos puede agobiar, y el acto sexual real es una medida defensiva para controlar esta explosión del fantasma. Así que, en cierto modo, lo Real está aquí en el fantasma y escapamos a la realidad para controlar de alguna manera este exceso del fantasma. Es un acto defensivo: volvemos a la realidad para controlar, para sofocar, la explosión fantasmática” (Slavoj Zizek: Arriesgar lo imposible. Conversaciones con Glyn Daly, Ed. Trotta, Madrid, 2006, p. 109).
66 -Forse ha a che vedere quella preoccupazione per il tempo di Daniela De Lorenzo con il desiderio di Jacques Derrida che la locuzione idiomatica “dare (el) tempo” faccia almeno pensare alla singolarità o doppia condizione sia del dono che del tempo: “Lo que hay que dar, únicamente, se denominará el tiempo./ Lo que hay que dar, únicamente, se denominará el tiempo./ Lo que hay que dar, únicamente, se denominará el tiempo./ Porque, por último, aunque el don fuese otro nombre de lo imposible, no obstante, seguiremos pensándolo, nombrándolo, deseándolo. Tenemos intención de hacerlo. Y ello a pesar de que, o porque, en la medida en que jamás nos encontraremos con él, jamás lo conoceremos, jamás lo experimentaremos en su existencia presente o en su fenómeno. El don mismo –no nos atrevemos a decir el don en sí- no se confundirá nunca con la presencia de su fenómeno” (Jacques Derrida: Dar (el) tiempo. I. La moneda falsa, Ed. Paidós, Barcellona, 1995, p. 37).
67 -“In concreto Dammi il tempo! di Daniela De Lorenzo nel pretendere un affiancarsi di quei movimenti ai nostri quotidiani, rivela nella nostra stessa gestualità un´incapacità a ritrovarsi, la perdita continua del proprio essere in un luogo, o meglio la perdita stessa del luogo come stato di quiete del nostro essere” (Raffaele Gavarro: “Il corpo sfinito” in Daniela De Lorenzo, Galleria Enrico Fornello, Ed. Gli Ori, Prato, 2007, p. 11).
68 -“El pensamiento de este olvido radical del pensamiento como don debería concordar con una determinada experiencia de la huella como ceniza” (Jacques Derrida: Dar (el) tiempo. I. La moneda falsa, Ed. Paidos, Básica, Barcellona, 1995, p. 26).
69 -Carl G. Jung: Aion. Contribución a los simbolismos del si-mismo, Ed. Paidós, Barcelona, 1989, p. 22.
70 -“La Darstellbarkeit freudiana o “aptitud en la escenificación”, dramatizando de parte a parte todo el dolor real en ficción de escena primitiva, propulsando el cuerpo de dolor en la especie de placer cruel, transfinito, de un cuerpo-actor (Diderot intuyó esta “simultaneidad contradictoria” de las temporalidades en el delirio histérico: “La mujer”, decía, “porta en su interior un órgano susceptible de terribles espasmos, que disponen de ella y suscitan en su imaginación todo tipo de fantasmas. Es en el delirio histérico donde regresa al pasado, donde se lanza hacia el futuro, donde todos los tiempos son para ella presente”)” (Georges Didi-Huberman: La invención de la histeria. Charcot y la iconografía fotográfica de la Salpetriere, Ed. Cátedra, Madrid, 2007, p. 220).
71 -“Una gestualización del fantasma, o más bien de la connivencia entre el fantasma histérico (convocado hipnóticamente) y un fantasma de escenifi cación (convocado como tema experimental), una gestualización de los fantasmas se encuentra fatalmente con los fantasmas de la muerte, de la agresión, del hacer pedazos” (Georges Didi- Huberman: La invención de la histeria. Charcot y la iconografía fotográfi ca de la Salpetriere, Ed. Cátedra, Madrid, 2007, p. 307).
72 -“Suele pasar que los individuos aquejados de cropolalia repiten como un ecos las palabras pronunciadas ante ellos e incluso a veces al oír algunas palabras imitan la acción que esas palabras indican, que así cuando oyen hablar de saltar se pongan a saltar” (Jean Martin Charcot: “Tic compulsivo y coprolalia en un chico” in Histeria, Ed. Del Lunar, Jaén, 2003, p. 94).