Checkmate
Galleria La Nuova Pesa, Roma
Testo in catalogo di Daniela Lancioni.
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Il percorso all’interno della mostra di Daniela De Lorenzo alla Nuova Pesa ha inizio con il video Aiutanti. Dapprima ingannevole, quest’opera, svela solo gradualmente la sua vera immagine, attinente alla storia antica della caverna (Platone, La Repubblica), ossia all’eterna ambiguità tra la cosa e la sua ombra. Quell’ombra, va ricordato, che la cultura psicanalitica del Novecento ha riscattato facendone la custode di preziosi segreti. Nel video, si vedono, inizialmente due mani che a tratti si congiungono. Il ritmo della sequenza è accelerato e dapprima ci si stupisce per la precisione con la quale le dita, pur muovendosi assai velocemente, combacino sempre perfettamente. Solo in un secondo tempo ci si accorge della consistenza materica che satura lo sfondo dello schermo e la si assegna all’intonaco di una parete. Allora si associa il sonoro del video, prima indecifrabile perché sovrastato dal rumore del proiettore, all’atto della mano che sfiora il muro e finalmente l’enigma del doppio si scioglie nella percezione di una mano e della sua ombra. (Dall’artista apprendiamo che gli effetti di sfumato - la scia che la mano lascia muovendosi- e di trasparenza sono stati ottenuti facendo le riprese con poca luce e che la macchina puntava in soggettiva la sua mano guantata).

Anche nella successiva stazione della mostra, il visitatore è avvolto da una leggera penombra e sulla parete di fondo è proiettato un altro video, D’altro canto, le cui immagini, come nel precedente, sono in bianco e nero. E’ un collage di frames diversi ciascuno dei quali inquadra un particolare del volto, del collo, delle spalle o della nuca di una donna. A tratti appare il gesto espressivo di una mano che s'accosta alla bocca o che copre gli occhi. Le inquadrature si susseguono in lenta dissolvenza. Talvolta, tracce di un precedente fotogramma si fondono con l’immagine dell’inquadratura successiva, provocando una leggera deformazione, sfigurando il volto (quasi la citazione di un dipinto proto cubista, viene da pensare al più celebre Les Demoiselles d’Avignon di Picasso). Una logica speculare, inoltre, domina il lavoro. In principio è uno schermo bianco dal quale gradualmente affiora l’immagine del volto. Il video termina con il progressivo affievolimento dei contrasti e l’annullamento di un’altra immagine, questa volta la nuca, nell’identico schermo bianco dell’inizio. Del busto di donna, Daniela De Lorenzo non ci offre mai una visione d’insieme. Ne indaga invece i particolari da punti di vista inconsueti, ravvicinati, dal basso, quasi con un lavoro di scavo all’interno degli orifizi, si vedono le cavità scure delle narici, la bocca spalancata. Il video ha un sonoro tratto dal film di Victor Fleming, Dottor Jekyll e Mr. Hyde (1941), è il protagonista (Spencer Tracy) che passeggia fischiettando pensando forse a un bel ricordo, sino a quando il motivo cambia bruscamente intonazione allorché Mr. Hyde ha preso il sopravvento, fuori, ormai, dal controllo del Dottor Jekyll. L'idea del fischio, lo apprendiamo dall’artista, ha origine dal racconto Josephine la cantante o il popolo dei topi di Franz Kafka, dove è mirabilmente raccontato cosa sia l'arte per un popolo attraverso il flebile fischio di Josephine che contiene "un po' della nostra povera infanzia, un po' della perduta e introvabile felicità, ma (...) anche un po' dell'odierna vita attiva".

Nella stessa stanza in cui è proiettato D’altro canto, a terra, adagiata su un rettangolo di feltro rosso, si trova Pantomima, una scultura del 2009, realizzata con lo stesso feltro rosso del panno su cui poggia. Come è noto, Daniela De Lorenzo, impiega il feltro dai primi anni novanta (sempre dello stesso spessore di tre millimetri). Materiale antico, avverte l’artista, la cui tecnica di realizzazione per pressione, precede la tessitura. Per Pantomima, come per tutte le sue sculture più recenti, lavora un tipo di feltro fabbricato da una ditta tedesca, dal cui campionario di colori sceglie esclusivamente un rosso scuro, tendente al violaceo (tra il cremisi e lo scarlatto): il colore del fegato, è l’artista a suggerirlo. Un rosso simile a quello della carne viva, dei tessuti (coincidenza lessicale forse non casuale) irrorati di sangue. La scultura Pantomima è anche un brano di anatomia, è data, infatti, dalla stratificazione di ossa, muscoli, vene e pelle, che costituisce la porzione di una scapola e di un collo, insieme al braccio, all’avambraccio e alla mano di un essere umano. La reciproca posizione dell’arto e del collo, però, non ripropone quella di riposo generalmente illustrata nelle tavole di anatomia, ma suggerisce una torsione del corpo, una postura forzata. Tecnicamente, l’artista ha realizzato l’opera partendo da un calco ottenuto facendo aderire al suo corpo il feltro ammorbidito con l’acqua, ne ha poi ricostituito l’interno colmando la superficie cava con strati di feltro diversamente sagomati, ciascuno corrispondente a un muscolo, a una vena a un osso o a un nervo, atlante di anatomia alla mano.

La disposizione degli ambienti nella galleria impone di ritornare sui propri passi per accedere alla successiva stazione della mostra. Attraversato a ritroso l’ingresso dove è proiettato il video Aiutanti si conquista la visione di due opere, entrambe Senza titolo del 2009: due rilievi di feltro, dello stesso rosso cremisi-scarlatto di Pantomima, collocati a parete. Hanno la forma rettangolare che per tradizione in pittura è associata al ritratto di figura, e offrono entrambi la visione parziale di un corpo umano di spalle. Sono nudi che alle due estremità, in alto e in basso, emergono gradualmente dal piano di fondo o in esso gradualmente si appiattiscono (la stessa dinamica, espressa con mezzi diversi, osservata nel video D’altro canto). I due corpi hanno identiche misure (come sempre nell’opera di Daniela De Lorenzo rispettano la scala umana), ma uno ha i muscoli più accentuati dell’altro. In quello più femminile la figura, rappresentata dalla testa al bacino, mostra una leggera torsione verso destra. Nell’altro, mascolino, le braccia sono alzate e la testa non è visibile, consegnata al fondo dai muscoli sterno tiroideo e sterno ioideo. Le due opere sono state ottenute assemblando su una superficie piana di feltro la massa di ossa, muscoli, arterie e nervi, anche questa ricostruita, pezzo per pezzo, con il feltro. Come in Pantomima, si tratta di un lavoro lungo e paziente, svolto con l’ausilio di un atlante di anatomia. Ma, a differenza di Pantomima, in questi rilievi, il corpo è dotato della sua pelle, ottenuta sovrapponendo e facendo aderire alla massa anatomica un altro foglio di feltro, delle stesse misure di quello che funge da base. Ciò che vediamo è frutto di un calco, quindi, la cui matrice, celata ai nostri occhi e compressa tra i due fogli di feltro, non è il corpo umano, ma la sua riproduzione, una sorta di puzzle, un insieme parcellizzato, che la pelle-feltro della superficie restituisce visivamente nella forma unitaria del corpo.

Anche nell'ultima sala della mostra regna una leggera penombra, vinta solo dalle luci puntate sulle due opere esposte. Questo progetto di illuminazione è mirato, credo, a rendere ambigua la percezione, con l'effetto di scambiare la scultura posta all'entrata della stanza per una presenza umana. E' un busto su due gambe di feltro rosso. Appesa al soffitto, la scultura può oscillare leggermente o ruotare se qualcosa muove l'aria intorno a essa. L'artista l'ha ottenuta per calco dal suo corpo, pressando il feltro bagnato (riproducendo, così, l'azione che anima il processo con il quale il materiale è ottenuto dalle lane animali) e rettificandone la forma con alcune cuciture. Il titolo, Cura la tua destra, come talvolta accade nei lavori di Daniela De Lorenzo, suggerisce un riferimento letterario (forse individuato dall’artista a lavoro fatto), in questo caso il film omonimo di Jean-Luc Godard, Soigne ta droite del 1987, che a sua volta rimanda al cortometraggio dal medesimo titolo di Jacques Tati girato nel 1938. Entrambe le pellicole hanno per protagonista un folle. L’altra scultura esposta nell’ultima stazione della mostra è A parte del 2008: su una struttura ricoperta di feltro atta a rendere in maniera sintetica ed essenziale l’idea della sedia, è accovacciato - in una postura forzata e capovolto - un simulacro di corpo umano simile a quello che costituisce l’opera Cura la tua destra. L’artista per descrivere il movimento parla di un gioco da bambini, la sfida di voler stare con tutto il proprio corpo sul piano della sedia. Entrambe queste due opere sono state già presentate in altri contesti, spesso associate a diversi lavori ispirati al fenomeno dell’isteria (sculture e video non estranei all’iconografia della Salpétrière, il manicomio femminile di Parigi, teatro degli studi di Jean-Martin Charcot agli albori della neurologia nel XIX secolo). L’isteria è quello stato psichico, patologico, che si esprime con fenomeni e sintomi che riguardano il corpo e che rende il soggetto capace di autosuggestionarsi (Joseph Babinski, la sua definizione autorizza il nesso tra questa patologia e la tecnica del calco privilegiata da Daniela De Lorenzo). I sintomi isterici, secondo la prima lettura di Freud, sono espressione di desideri e aspirazioni psichiche cui viene sbarrata la strada e che trovano una scarica convertendosi in fenomeni somatici. Per Christopher Bollas è l’amore non corrisposto il cammino scelto dall’isterico che trova nell’autoafflizione l’unico modo per commuovere l’altro. E’ altresì noto come l’isteria possa rivelarsi una forma inconscia di ribellione espressa da coloro che maggiormente subiscono la violenza dell’inibizione e, in questo senso, sia stata storicamente associata, prevalentemente, al comportamento delle donne.

La cultura del secondo Novecento, alla quale il lavoro di Daniela De Lorenzo appartiene (la sua prima mostra risale al 1985) è stata dominata da due attitudini contrastanti. Semplificando, da una parte il Minimalismo con la sua ferrea riduzione alle forme e ai fenomeni fisici essenziali, dall'altra la compassionevole assunzione di lacerti del vissuto (dal New Dada all'Arte Povera). Come altri artisti della sua generazione, estranei per data di nascita all'epicentro di quei fenomeni, Daniela De Lorenzo ha contribuito ad aprire una strada alternativa. L'immagine nei suoi lavori non si impone con determinatezza. Non ha contorni definiti (lo sfumato diversamente reso nei video o nei rilievi), nonostante sia riferita al corpo umano, non presenta sembianze immediatamente riconoscibili (abbiamo visto distorsioni, sovrapposizioni, posture innaturali), si offre allo sguardo o si colloca nello spazio portando con sé una dose di ambiguità (a tratti ingannevole come nel caso di Aiutanti, spesso offrendo una percezione altalenante tra elementi opposti: la cosa e l'ombra, il rilievo e l'assolutamente piatto, maschile e femminile, presenza viva e simulacro). Il carattere ambivalente delle sue opere autorizza a interpretarle come un invito a contemplare il dritto e il rovescio di ogni cosa, il principio di reversibilità, la trasmigrazione dalla presenza all'assenza (morte) e il fenomeno speculare dell'apparizione (nascita), a coltivare la coscienza di una zona invisibile (la caverna, l'ombra) che impronta quella visibile (la superficie, la pelle) secondo i parametri laici della scienza psicanalitica o della metafisica di Maurice Merleau-Ponty. I suoi lavori si affacciano al mondo con discrezione. Ma la loro discrezione non attiene alle pratiche della sottrazione. L'artista, infatti, la ottiene attraverso un processo attivo di messa in opera (con relativo dispiego di tecniche). Ed è, in primo luogo, per il modo artigianale con il quale Daniela De Lorenzo ridà presenza fisica all'opera e consistenza materica alla figura, che il suo lavoro si distingue da quello di altri artisti che hanno contemplato la coesistenza di stati e condizioni differenti o di quanti hanno assunto verso il mondo una strategia mimetica. Penso al paziente lavoro manuale con il quale ricostruisce le viscere dei corpi o all'impiego della tecnica primordiale del calco con la quale procede a una verifica dell'esistente. Ma ancor più il suo lavoro si distingue per il carattere umano e particolare che infonde alle sue operazioni, che non hanno come esclusivo riferimento coppie di valori universali (nascita morte, interno esterno, bene male). Le sue opere si prendono cura anche del particolare (lo si può verificare nella predilezione per il taglio particolare) e possono essere lette come l'espressione di quella società individualistica nella quale ci troviamo a vivere. Mi riferisco agli aspetti positivi di questa società, quelli che hanno comportato l'accrescimento delle responsabilità individuali e il rispetto del singolo (portando, ad esempio, in medicina a sviluppare il principio di cura mirata, studiata sui sintomi del singolo paziente). Le opere di Daniela De Lorenzo, almeno quelle esposte in questa mostra, sembrano assumere il peso della ferita, dell'infelicità, del disagio che possono colpire gli esseri umani (che colpiscono tutti gli esseri umani al cospetto della morte, così che un problema particolare è anche universale). Di fronte a queste ferite, l'artista ricompone la figura (di fatto ne ricostituisce le membra), ne frena lo spasmo calcando su di essa un materiale protettivo (il feltro di beuysiana memoria colore del fegato, l'organo riparatorio atto a filtrare le impurità e a liberarne il corpo), celebra il rito della guarigione come scambio con l'Altro confezionando opere che fanno pensare agli ex voto (come recentemente indagati da Georges Didi- Huberman), soprattutto assicura la sopravvivenza della figura con la creazione del suo simulacro (blocca lo scorrere del tempo nella fissità del calco, compiendo il gesto originario, e sempre attuale, che conferire all’opera lo statuto d’arte). La distorsione, la contorsione isterica, coraggiosamente osservate, trovano nei suoi lavori, attraverso lenti e meditati processi tecnici, una rappresentazione che conferisce ad esse dignità, senza fare ricorso alle categorie della denuncia sociale o della provocazione. Immagini che levitano nella sfera dell'arte (un poco superiore a quella quotidiana, ma sempre a portata d'occhio, o d'orecchio come il fischio della Josephine di Kafka) concepite forse, nella scia della vitalità del negativo (Hegel) e della ferita che mette in comunicazione gli esseri viventi (Bataille), ma nella direzione, forse finalmente, di una cura, di una possibile felicità..


La mostra di Daniela De Lorenzo alla Nuova Pesa e la felicità possibile
Daniela Lancioni